Il Giallo napoletano, nella sua lunga carriera, Massimo Siviero l’ha forgiato con i suoi saggi e i suoi romanzi. Come saggista, infatti, ha pubblicato per la prima volta uno studio sulla scrittura e la storia del thriller partenopeo e ha scoperto e documentato che Napoli è la patria storica del giallo italiano.
Redattore de Il Mattino e Il Messaggero la città, le sue ombre, le ha conosciute e raccontate negli articoli giornalistici e attraverso i suoi personaggi, il commissario capo Gabriele Abruzzese, il detective privato Joe Pazienza, il commissario della Squadra Omicidi Ercole Basile. Tante storie poliziesche in cui sono protagonisti Napoli, la cronaca nera, la malavita, dove l’indagine e l’intuito si fondono con la narrazione d’ambiente. Nel solco della tradizione di Mastriani, Siviero è riuscito a conciliare la tecnica del giallo investigativo con la narrazione nera e la cronaca; sullo sfondo una criminalità difficile da sconfiggere, spesso trionfante.
Da giornalista a scrittore: che cosa ha fatto scattare la scintilla della creatività narrativa?
Due diversi osservatori da cui interpretare la realtà e la vita. Sì, la scintilla è scattata quando da giovane cronista mi accorsi che Napoli non era ‘o paese d’’o sole e d’’o mare, ma cominciava a diventare una metropoli violenta e pericolosa anche se affascinante. La scoperta di due cadaveri nel giardino di un ristorante. Si scoprì poi che erano corrieri internazionali della droga. Ebbi subito il desiderio di inventare una storia che andasse oltre la cronaca e scrissi Il /diavolo giallo. Un romanzo che mi ha fatto gioire e molto soffrire. Un giorno racconterò perché.
La Napoli dei suoi romanzi è quella che vive da cittadino o ci sono molte concessioni letterarie?
Da cittadino incavolato più che incantato e mi sono dato molte concessioni letterarie cercando comunque di evitare di cadere nel pericolo dell’oleografia che trovi a ogni angolo di vicolo.
I suoi personaggi sono frutto solo della fantasia o raccoglie molti spunti dal suo vissuto?
Assolutamente dalla realtà. Un collega che fu tra i relatori di uno dei miei romanzi avvertì la platea: state attenti che potreste trovarvi in una delle sue storie. In fondo aveva ragione. Un’altra caratteristica di questo teatro chiamato Napoli è di avere tutta la materia già pronta. I personaggi in carne e ossa si muovono sotto i miei occhi e mi preoccupo di non farli diventare troppo di carta.
Dal 1992 al 2015 Massimo Siviero ha collezionato almeno dieci titoli tra romanzi e racconti e tanti premi tra cui il Premio speciale Procida – Isola di Arturo-Elsa Morante e Premio Napoli in giallo con il romanzo Il terno di San Gennaro e selezione Premio Scerbanenco con il romanzo Vendesi Napoli, il più votato dalla giuria popolare.
Ha pubblicato sia con grandi case editrici come Mondatori sia con piccole come Pironti, c’è spazio per le piccole realtà editoriali o sono condannate a essere fagocitate dai grandi dell’editoria?
E continuerò a farlo se ne avrò ancora la voglia e la forza. Non deve essere l’editore a condizionare il tuo lavoro, ma viceversa. Ogni volta che ho scritto un libro mi sono cimentato con una nuova casa editrice. Il piccolo grande Pironti diventa sempre una nuova scommessa, sono personaggi mitici che nascono allo stato brado e non invecchiano mai. Ora ci siamo imbarcati nell’avventura ebook. Da qualche giorno è disponibile “Scorciatoia per la morte” in versione elettronica. Ci sarebbe spazio se ognuno facesse il proprio mestiere secondo le proprie attitudini. Una cosa per me insopportabile è di vedere in giro in ogni vetrina storie etichettate come gialle, pardon come noir. L’enigma tira più di tutti gli altri soprattutto in tempo di crisi e tutti vogliono partecipare alla grande festa. I grandi dell’editoria ti stritolano soprattutto con la distribuzione. Autori e piccoli editori sono abbandonati al loro destino.
Il giallo è sempre più popolare diventando inevitabilmente un oggetto di riflessione per i sociologi e per gli storici sociali che sottolineano la “spettacolarizzazione del male che alimenta e si nutre di una morbosità diffusa dietro la quale gli specialisti intravedono il lato più oscuro della psiche umana ovvero “non soltanto la paura della morte che attraverso i fatti di cronaca nera sarebbe così esorcizzata ma anche desideri necrofili inconfessabili e istinti di morte che attraverso la cronaca nera sono vissuti…”. I critici della cultura, invece, insistono sulla forza dell’intreccio variabile fra due modelli conoscitivi, l’uno scientifico, basato sulla ricostruzione delle catene causali, l’altro etico, basato sulla ricostruzione delle responsabilità che rappresenterebbe per il lettore una vera e propria avventura intellettuale.
Perché, secondo lei, il genere ha tanto successo?
L’ho detto altre volte e lo ripeto, considero la tecnica del giallo la più efficace e immediata per raccontare le degenerazioni della società. Autori non giallisti si sono cimentati con alterna fortuna perché un romanzo poliziesco o d’amore che sia ha bisogno di climax sempre più incalzanti. I climax della realtà e della vita ci mettono ogni giorno a dura prova e la pagina scritta deve cercare di fare la differenza. Un buon giallo a contatto con la realtà in cui viviamo è in grado di farlo. Anche per questo difficilmente ambienterò una storia nel passato. Pensa un po’, “Un mistero occitano” è un romanzo di attualità con incursioni nella storia. Passato e presente sono le due facce della vita. Anche questa città la considero l’interpretazione del passato nell’attualità.
Come nasce una sua storia?
Una mia storia di solito nasce nel pensatoio della strada. Come ho detto altre volte i miei libri li scrivo… con i piedi, camminando tra la gente, camminando e costruendo tra la gente con ansia realistica e gusto impressionistico.
In Scorciatoia per la morte (Tullio Pironti editore) il commissario Ercole Basile, dopo tre anni alla Mobile di Milano, torna a Napoli, al commissariato San Ferdinando, ai Quartieri Spagnoli. Un serial killer terrorizza la città: un rapinatore solitario che un giorno assalta le banche, quello dopo uccide. Ogni raid è seguito da un omicidio e sulla scena del crimine ogni volta bottoni in osso anni Cinquanta con strass. Non è un caso come gli altri perché l’omicida sembra spiare il poliziotto, lo raggiunge al cellulare, gli parla come se lo conoscesse, arrivando a minacciare le persone a lui care. Un’indagine dal ritmo incalzante, piena di ombre e sospetti, in cui Basile dovrà mettere insieme, come in un puzzle, tutti i tasselli di una storia che affonda le radici in un passato lontano.
Com’è nato quest’ultimo racconto?
E’ nato quasi per caso. Stavo per dire su commissione. Pensavo a una storia diversa per Napoli, città violenta ma dove non c’è posto per un assassino seriale. Un attore regista voleva farne un film, ma mi ha chiesto una trama non corale, tre o quattro personaggi. Mi sono lasciato prendere la mano, come sempre succede con i personaggi che ti trascinano dove vogliono e il progetto è saltato per mancanza di sufficienti mezzi per una storia più articolata. Dicevo che qui non c’è o non c’era posto per un serial killer. Ragioni antropologiche e sociali lo impediscono. Ma la gente sta cambiando e questo è un aspetto pericoloso. Quando era una città di quartieri aggregati, non c’era posto per assassini che colpiscono a caso. Ora non conosci neppure il vicino di pianerottolo, ognuno si chiude a riccio nel proprio egoismo e nelle proprie paure, il territorio è abbandonato agli estranei e al suo destino.
Oltre alla narrazione poliziesca qual è l’aspetto più intrigante di questo nuovo romanzo?
Due aspetti intriganti. Il primo l’ho già descritto, la città che cambia con gli imprevisti che questo può comportare. Un altro aspetto, insolito per un giallo, è che in questo libro c’è posto per i sentimenti. Ma niente amori sdolcinati. Dal dolore e dai pericoli possono nascere tante cose buone.
Che caratteristiche hanno i personaggi ?
In un buon giallo i personaggi non devono avere caratteristiche forzate, devono muoversi abbastanza ma con disinvoltura e non essere mai superflui. In un romanzo napoletano, poi, un altro pericolo è di cadere nella tentazione della macchietta. Un giallo napoletano deve essere scritto possibilmente in bianco e nero. Non per niente la copertina di “Scorciatoia per la morte” non è colorata. Napoli è già così tanto colorata al punto che tutti la credono una città solare. Sbagliano perché poco c’è mancato che il gotico non sia nato prima di tutti gli altri dalle nostre parti.
Napoli con radici e tradizioni molto forti, duemila anni di storia e filosofia difficili da ignorare e la tragica realtà. Leggenda e storia, mito e cronaca, i decumani e il sottosuolo, fede e superstizione si mescolano ogni giorno. Passato e presente che s’intrecciano, evolvono continuamente. Una città ribollente che ben si adatta a un genere magmatico come Peppino Ortoleva definisce il romanzo poliziesco.
Che cosa della napoletanità è sempre presente nelle sue storie?
Un connubio maniacale tra la vita e la morte. Noi viviamo per non morire, viviamo e ci muoviamo senza mai fermarci un solo attimo per non farci sorprendere dalla Signora in Nero. Su questo dramma esistenziale intimo e insieme corale si costruisce la nostra esistenza. La nostra stessa comicità, un trucco per nascondere questa millenaria peripezia umana. Per fortuna sappiamo ancora ridere a trentadue denti. A me personalmente piace la risata degli sdentati. Personaggi che m’ispirano molto senza cadere nella macchietta.
Come lettore cosa predilige?
Sono un lettore di autori soprattutto americani. Uno dei modelli letterari che m’ispira molto è Ellroy, ma non lo imito. Questa città non ha bisogno d’imitazioni. Le storie sono già scritte nel suo lievito primordiale, bisogna solo saperle cercare.
E’ soddisfatto della sua scrittura oppure hai degli esempi anche contemporanei cui mira?
Ho citato James Ellroy, Dalia Nera e L.A. Confidential li considero pietre miliari di letteratura e detection, gli ingredienti di un’ottima storia nera. In Italia mi hanno ispirato mostri del calibro di Sciascia e Scerbanenco. La mia formazione comunque non è ispirata al genere mystery, ma all’Ottocento francese. Guarda un po’, Maupassant, per cominciare uno dei padri del racconto moderno e della novella. E prima ancora Balzac, padre del romanzo realistico francese e non per niente amante di storie enigmatiche. V’invito a leggere “Una tenebrosa vicenda”. I miei gusti sono molto bizzarri e passo in un giorno da un autore drammatico a un raccontatore del dramma della storia poliedrico e unico come Goethe. Non amo alla follia autori contemporanei che vanno per la maggiore. La critica letteraria che stroncava non esiste più e bisogna arrangiarsi a scovare i veri geni. Se sono soddisfatto della mia scrittura? Non ha un grande significato. Scriviamo o almeno penso di scrivere con lo stesso bisogno che ho di respirare. Sono soddisfatto di respirare? Mi piace respirare?
Una scrittura che “ non fa evadere ma invade il lettore”, che travolge anche l’autore perché impregna le parole di un senso estetico in cui ragione, osservazione, attento studio dei luoghi, frequentazione dei personaggi, creano un contesto narrativo e sociale esclusivo. Dalle pagine quell’odore di antico, misto al sapore più acre di ombre nuove. Ci piace respirare il vento mediterraneo di Massimo Siviero.
(napoliontheroad 7 ottobre 2015)